“FIGURE – narrazione identitaria”
a cura di Matilde Puleo
dal 4 maggio 2024
via Cesalpino, 29 Arezzo
Con l’immediatezza dei social, Rosy Boa lancia un input e con una piccola sfida in un post su Instagram ne nasce un vero e proprio dialogo a distanza tra gli artisti. Curiosi e attenti al significato della parola identità volevamo vedere come questo tema è rappresentato dagli artisti, attori non tanto dell’illimitatezza senza confini e neanche dell’imprecisa libertà del fare come ci pare, quanto dell’incertezza di un’autonomia forzata e solitaria.
Il risultato è “FIGURE – narrazione identitaria”, ovvero una mostra collettiva, visitabile dal 4 maggio 2024 a cura di Matilde Puleo, determinata da quella CALL e arricchita dalle risposte degli artisti che avevano già nella loro ricerca molti elementi affini al tema che avevamo aperto.
Una mostra collettiva che affida all’arte visiva il compito di raccontarci chi siamo? Il nostro corpo, i nostri sentimenti, la precarietà della nostra apparenza o quella dei nostri organi interni. Una mostra per rispondere alla domanda che ci assilla da millenni ma anche una serie di tentativi insicuri e incapaci di trovare fermezza di convinzioni, presentati da un manipolo di artisti inquieti quando non allarmati come:
Anomis, Sauro Bartoli, Caterina Bigazzi, Alessandra Centi, Dalila Chessa, Meri Ciuchi, Sarcastic Collage, Selene Crezzini, Chiara Criniti, Antonella De Sarno, Renzo Francabandera, Simonetta Fratini, frenopersciacalli, Grozav, Laben, Angela Laci, Ersilia Leonini, Cino Marraghini, Elisa Modesti, Be Onigiri, Maurizio Rapiti, Sanguedalnaso, Laura Serafini, Barbara Sodi, Lucia Stefani, Paolo Toci, Tamara Valkama, Elisa Zadi e Giuseppe Zito.
Artisti e ricerche che ci confermano quanto la figurazione postmoderna veda (a vent’anni di distanza dalla società liquida di Zigmunt Bauman), identità che oltre alla liquefazione si vedono sempre più sfrangiate, perse e polverizzate nella discussione su ciò che prima era certo e stabile. Artisti che ci dicono che i discorsi visivi sull’identità sanno mettere a tema tantissime questioni che investono il presente. Tentativi che ci confermano quanto dell’identità se ne parli di solito nei periodi di cambiamento turbolento, quando le coordinate sono incerte, quando perdiamo il rapporto con l’ambiente o quando è difficile interpretare la realtà. Ma ci assicurano anche che c’è una qualche utilità in questa identità sfrangiata specie se arriva a smarginarsi, a perdere i propri contorni definiti e a fondersi sempre più con il contesto. Le identità desiderano essere autentiche, ma per ottenere questo bisogna solo accettare che l’identità sia un cantiere sempre aperto.
Rosy Boa è un centro culturale nel quale si uniscono grande impegno organizzativo e profonda radicalità culturale. È un dispositivo che serve ai soci fondatori per essere vivi in un momento in cui la vita che avevamo immaginato viene spinta ai margini, in cui è in atto una strategia globale fatta di guerra, paure e recessione che mira alla normalizzazione e alla omologazione a fronte delle quali noi diciamo “eccoci, siamo qui!”. Nasce con l’intento di essere il contenitore di una proposta artistica trasversale nella quale l’arte è caratterizzata da una forte sperimentazione e intesa come oggetto di trasformazione personale e sociale. I lavori esposti restituiranno riflessioni sul presente e sulla società, lavorando sull’idea di opera d’arte e innescando dialoghi tra le diverse forme espressive. Accanto a un fitto programma di mostre, workshop, spettacoli di musica e danza, sono previsti la realizzazione di attività formative ai più diversi livelli, incontri pubblici, interventi documentari, la nascita di un’agenzia/incubatore creativo e l’apertura di un bookshop dedicato all’arte contemporanea. Avvalendosi del contributo di artisti di varie discipline Rosy Boa organizza ciclicamente dei workshop di vari livelli, perché nel contesto formativo Rosy Boa funziona come un laboratorio basato su un approccio che mette l’accento sul processo creativo piuttosto che sull’oggetto finale.
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