imprescindibile per sentire il preciso stato d’animo con cui affrontare quella tela ogni giorno diversa che si chiama esistere. Espressione di un’acuta volontà d’analisi, che sa addentrarsi nei meandri più profondi della sua psiche, il gesto del dipingere la rende forte, essendo come una preghiera, un rituale da compiersi ogni giorno, in silenzio, per mettersi in pace con la propria interiorità. Dipingere è il modo più alto di interrogarsi sul mondo, significa porsi inevitabilmente davanti a se stessa, implacabilmente, mossa dal bisogno profondo di guardarsi fuori per capirsi dentro, per scoprire cosa vuole, cosa desidera, cosa pensa, quale segreto si nasconde a quella confessione che di lì a poco sarà la pittura. Marco Palamidessi
Ho immaginato Zita nella semplicità: l’ho voluta vestire con un saio di lino. L’abito diventa significante, perché cucito con le misure di un piccolo corpo; prende forma, è vero, si stacca dalla bidimensionalità, va incontro allo spettatore come un invito ad essere indossato, mettendolo di fronte ad una riflessione sulla propria interiorità. Utilizzando lo stesso tessuto di lino del vestito ho dipinto il volto e le gambe di Zita. Questi sono rappresentati entrambi per tre volte, colti in momenti diversi, in modo da rimandare a delle emozioni differenti. In un volto vediamo l’espressione in cui Zita è consapevole e ci guarda fissa ed ieratica; in un altro lo sguardo è velato, abbassato perché rivolto verso la propria interiorità, e nel terzo lei guarda di lato come a rimandare a quello che c’è accanto, fuori da sè, l’alterità. I fiori che ho scelto sono di campo, a voler simboleggiare la sua natura spontanea.