Fosse vivo uno di quei vecchi mercanti d’arte – Ghiringhelli, Cardazzo, Gian Ferrari -, capaci di riconoscere al primo sguardo il valore di un artista degno di essere definito tale, sul destino di una giovane pittrice emergente, Elisa Zadi, potremmo fin da ora riporre qualunque nostra ragionevole speranza. Dotata di un talento espressivo oggi divenuto raro, rappresenta l’eccellenza della più recente generazione di autori toscani incamminati verso le grandi ribalte. Elisa Zadi, scoperta e valorizzata da quel “magister optimus” dell’Accademia di Belle Arti di Firenze che é Adriano Bimbi, ha una spiccata vocazione per la figura umana. L’affronta, approfondendo non la fisionomia e neppure l’estetica, ma quella parte interiore dell’anima che si riverbera in superficie – in uno sguardo, una smorfia oppure una semplice posa – immersa in un caliginoso silenzio. Un simile piglio introspettivo evoca, nella memoria, l’aspro cavo di Lorenzo Viani, Varlin e, nondimeno, quello del valoroso Enzo Faraoni, padri putativi di un’artista, Elisa Zadi appunto, che avrebbe senz’altro riscosso la stima di Testori e Pasolini.
Giovanni Faccenda, Apertis Verbis-La Nazione di Firenze, 26 gennaio 2013.
“Lo spazio abitato” vede una buona selezione di lavori dell’aretina Elisa Zadi, interprete di questa occasione espositiva di due momenti diversi del proprio iter artistico. Nella prima sala una serie di grandi dipinti, quasi intere pareti, accoglie il visitatore che riproducono la stessa realtà, uno scorcio architettonico con elementi naturali in ore diverse, creando uno spaccato di vita quotidiana che diviene metafora del tempo che passa e lascia il segno. Nelle altre sale oltra agli ambienti fatti di oggetti abituali e anche ordinari, l’artista affronta alcuni personaggi femminili e maschili dei quali traccia un’attenta analisi fisiognomica, capace, come in antico, di essere espressione di tematiche d’affetti e quindi di esternare stati d’animo introspettivi, scavando nell’animo umano. Emblematica é l’immagine di se stessa ripetuta tre volte in Sento, Vedo, Parlo, indicando nel titolo la volontà di azione e di espressione che l’artista evoca nelle proprie figure. L’ultima sezione di mostra offre invece al visitatore una sorta di stanze “private”, momento intimo del percorso interiore che l’intera esposizione vuole documentare.
Liletta Fornasari, La Nazione di Arezzo, anno 154 n°91, 2012.