Ma l'avevo conosciuta solo come pittrice o come performer in immaginifiche installazioni. Imbattermi in una sua raccolta di poesie è stata una lieta sorpresa. Anche se in realtà scrivere fa parte di lei da tutta la vita. Stessa fonte, quindi stessa sensibilità, ma una forma espressiva diversa. Interessante anche scoprire quanto una modalità sia affine all'altra, come ne evochi i contenuti, in una coerenza di senso ma con differenti sfumature. Le poesie di Elisa possiedono una qualità molto importante. Mentre scorri le righe esse si rivelano, sbocciano, con l'incredibile sincerità dei fiori. Arrivano subito, comunicano. Si mostrano con chiarezza. In questo loro manifestarsi sanno essere delicate ma anche brutali, come la vita. Nel leggerle non si ha mai la sensazione che ci sia qualcosa di studiato, di artificioso, di messo lì perchè ci stava bene. Non sono un assortimento di belle e desuete parole scovate per creare fascinose assonanze, delle quali il significato può alla fine restare nebuloso, quando non oscuro. Sono effettive, sostanziali. Ma questa limpida accessibilità al senso non va a scapito della poeticità o della bellezza del testo. Sono versi che raccontano il mondo senza troppi filtri. Non intravisto dietro veli rosa o nebbioline profumate, ma scevro dalle illusioni. Eppure in questa loro asprezza sanno dirci benissimo che un misticismo esiste. La Natura possiede un lato mistico. Laico, terreno, persino semplice da sperimentare, potremmo dire. Allo stesso tempo vasto, infinito, complessissimo. Nelle poesie di Elisa lo si sente, questo respiro di fondo. Si percepisce la presenza di questo confortante mistero. Proprio come nella sua pittura. Il mondo per lei non è un giardino fiorito. E la Natura non è nè buona nè cattiva. Però è ovunque. La terra riprende i suoi figli e se li divora, per creare altra vita. C'è dolore, dispiacere, in chi osserva. Non è facile accettare il fluire di questo ciclo. Perché anche l'osservatore ne fa parte. Ed è consapevole che non sfuggirà alla sua fine, come tutto il resto. Ma deve accettarlo. Anche se nell'immediato lo smarrimento rimane, e va combattuto ogni volta. Non lo si può battere, forse. Ma si può non soccombere. L 'Amore, sembra l'unica arma possibile. Per le cose di ogni giorno, per le piante dell'orto, per i ritmi delle stagioni, per quello che ci accade in questo vivere. E per qualcuno. Il partner, l'amante, l'altro. Amore che è carnale, consapevolmente vorace. Un piacere intimamente cercato, sentito, un piacere fisico ma anche sentimentale vissuto fino in fondo, in completo abbandono. Pur sapendo che tutto poi sarà incerto. Ma con la certezza che comunque non può esserci niente di meglio, di più coinvolgente, di più travolgente, di più naturale, per sentire la vita. Amore fisicamente appagante, quindi. Al quale segue, con la stessa regolarità con la quale il quieto autunno segue alla rossa estate, la stasi, il dopo. Un dopo che sembra silenzioso, smarrito. Che è spesso, anzi quasi sempre, una disillusione. E sa di esequie, di sepoltura. Già prevista, certo, già messa in conto. In parte personale, dovuta alle caratteristiche dell'altro, in parte intrinseca alla sostanza stessa dell'amore. Ciclo, anche questo. Delusione per quel sentimento che prima era bello sentire o forse immaginare presente, completo, dirompente e che ora invece si rivela come qualcosa di parziale, di soltanto abbozzato, di banale. Da abbandonare, era già scritto, come si lascia una corona di fiori alla volontà tranquilla del mare. Senza rabbia. Ecco, la rabbia non è mai protagonista, in queste poesie. C'è rimpianto, ma tutto sembra sempre far parte di un fluire che già si conosce e che si accetta con elementare saggezza. Le cose vanno così. Il piacere può essere colto, anzi va colto e totalmente assaporato, ma a questo poi segue una sorta di incompletezza che anch'essa va accettata. In fondo all’amarezza sembra però baluginare anche qualcos'altro, la vena d'oro dell'ironia. Presente, mi pare, anche negli autoritratti, di Elisa. Che ad una prima occhiata appaiono inequivocabilmente composti in espressioni malinconiche e attonite. Ma che se lasci agli occhi il tempo di soffermarsi un po' e li guardi con più attenzione cominciano a insinuarti il dubbio della possibile imminente comparsa di qualcosa di imprevisto. Un piccolo sorriso, con l'angolo della bocca, per tutto quello che siamo, di volatile e passeggero. Qui si avverte la stessa cosa. Anche se sarebbe inutile stare a cercare vocaboli che propongano di fatto un invito a farlo, questo sorriso. L'ironia se ne sta defilata, nascosta nel tono generale. Nella scelta delle parole, nel ritmo dei versi. Che sembrano suggerire come, dell'incompiutezza senza soluzione della nostra esistenza, sia implicito anzi inevitabile sorridere. Alessandro Bini
https://zadielisa.blogspot.com/2021/11/il-profumo-del-giglio-raccolta-di.html