Grembo è un’opera scultorea di Elisa Zadi, un intervento su un tronco secolare di quercia deceduta per calamità naturale e che l’artista ha voluto restituire a nuova vita e conservare vicino al luogo dove l’albero è vissuto. La scultura si presenta come una grande cavità che può accogliere gli spettatori, proteggerli al suo interno e trasmettere loro una forza primigenia, quella della Madre Natura.
L’opera nasce dalla collaborazione con lo staff del Parco Mediceo di Pratolino-Villa Demidoff e la Città Metropolitana di Firenze.
Grembo è un’opera dove la mano della Natura e quella di Elisa Zadi s’incontrano e si allacciano per diventare una sola cosa, un’entità armonicamente compiuta. Un grande corpo di legno che si è fatto levigare dalle mani dell’artista, così come il tempo avrebbe fatto, primo naturale modellatore/scultore, che dà forma sempre nuova e diversa a tutte le cose; mani che sono andate oltre, seguendo la natura e facendosene assorbire di rimando; mani che ancor più hanno incentrato il loro fare e la propria poetica sullo scambio identificativo con la natura, intesa come materiale vivo, tangibile, da toccare con forza, da solcare con un disegno essenziale e deciso, da ricondurre ai primordi e generare come opera d’arte. Un tronco completamente cavo che solo in apparenza è cosa immota ed esanime, ma che trova alimento, diversamente da quando era albero intero, direttamente al suo interno; infatti, la luce non viene più soltanto da fuori, ma dall’oro che è la nuova pelle di dentro. Un tronco d’albero che non è più vivo a cause naturali ma che vuole continuare ad esistere come presenza nel luogo dove è vissuto e che pure esiste, continua a essere, e che tramite il gesto di Elisa risorge a nuova vita, alla vita eterna dell’Arte.
La Natura, il bosco ha inventato il componente, donando la materia prima; l’Artista ha levigato la sua superficie, dentro e fuori, fino alla forma finale. Un lavoro che ha preparato la forma per accogliere l’oro, da sempre elemento che rimanda a una realtà superiore, a qualcosa di sacro, atemporale, distante, irraggiungibile, da contemplare nella sua magnificenza. L’oro, materia simbolicamente immateriale, ponte fra la terra e il cielo, non è un pigmento terreno, ma una foglia di battiloro, dove l’invisibile si rivela per mezzo della sua visibilità; una foglia che è pura luce, e la luce è il primo nutrimento del mondo, l’essenza a cui tutta la Natura si protende. Una foglia, una dopo l’altra, semplice e preziosissima, e le foglie sono anche il pensiero degli alberi. L’oro, questa lamina distesa con materna cura, penetra, invade il tronco rivestendone il suo vuoto; il dentro è lo spazio dell’oro e dell’anima, della memoria e dell’abbandono. Un luogo, una terra di mezzo, da dove corre una linea blu oltremare, fra le crepe del legno che dal suo interno fuoriesce come un fiume in piena, che sfocia in un disegno di labirinto dello stesso colore, un labirinto fatto di acqua e di cielo, a celebrare il battesimo celeste di chi avrà il coraggio di perdersi per ritrovarsi. La sintesi del disegno del labirinto che ricalca la simbologia iniziata è lo stesso di Chartres. [D’ora in poi, da questo Grembo passerà l’Infinito, essendosi aperta una nuova dimensione che è quella dello spazio.] Un’opera dove la terra incontra il cielo, un grembo dove nel vento che soffierà passerà tutto il respiro del cielo; un Grembo dove si sente pulsare tutta la sacralità della Natura, dove è possibile trovare, oltre le apparenze visibili, il profondo segreto dello spirito. Grembo è custode di un mistero che invece di farsi carne e sangue, diviene spirito e simbolo, parola e vuoto, alito e sguardo; questo è l’incavo, il nido, la culla dove iniziano le cose, dove tutto è possibile ancor prima di venire al mondo; dove le cose gioiscono all’incontro con la luce che illumina, e trepidano/gemono/ansimano al timore del bagliore che oscura/acceca. La luce concorre alla nascita dell’opera: per mezzo di essa, l’Infinito si muove come un flusso continuo, come una corrente che ci trasporta da un mondo a un altro. Nel grembo dell’albero sta l’onnipotenza della Natura, come nel grembo di una madre sta la bellezza delle sue creature. Il Grembo è la casa, è l’abbraccio, è la placenta che avvolge/contiene un fluido che grande come un oceano (di pensieri). Chiunque vorrà, potrà entrare nel Grembo, varcare la soglia di una dimensione altra, immergendosi in questa luce liquida e sospesa, per sentirsi un essere, una creatura protetta e libera, ascoltando la memoria del tempo prenatale, camminando come per tornare al ventre della madre. Sedersi, entrare, accomodarsi nella cavità sarà come tornare in quello spazio dorato, in quel mare amniotico testimone del nostro sviluppo, del nostro incontro, tenero e violento, con la vita. Quel tronco non semplicemente vuoto, ma che contiene un vuoto che si prepara ad accogliere l’Infinito, conterrà anche noi, nell’attesa di partecipare al passaggio dell’Infinito. Lì, al centro del Grembo, avverrà il rito di passaggio, l’Infinito che scorre continuo come un flusso, attraversando anche noi che siamo immersi in quello spazio, imbevuti di luce viva, che si contrae e si espande, in un contatto primigenio che accoglie chiunque voglia entrare dentro la cavità come per tornare a una condizione iniziale, iniziatica e primitiva dell’essere, del proprio essere. Non vedere, ma abitare questo spazio, viverlo nuovamente stavolta consapevoli di essere in un luogo che simbolicamente richiama il sacro luogo dove inizia la vita. Dove, qui e ora, inizia la nostra rinascita.
L’opera inaugurata durante la giornata internazionale dell’albero 2017, è collocata all’interno del Parco Mediceo di Villa Demidoff, Pratolino Firenze. |